OSTEOARTOSI ED EVOLUZIONE: QUALE CORRELAZIONE?

Giu 17, 2020 | Osteopatia

Durante l’evoluzione umana, gran parte delle nostre articolazioni si è adattata alle richieste biomeccaniche del bipedismo, alterando in tal modo i programmi di sviluppo delle cellule che costituiscono le cartilagini, i condrociti. Questo è stato un vero e proprio processo adattativo che, da un lato ha costituito un notevole vantaggio evolutivo in termini di efficienza per la nostra specie, dall’altro ha avuto deleterie conseguenze per la nostra salute, in particolar modo per il sistema muscolo-scheletrico.

Affinché potesse realizzarsi questo vantaggio di adattamento, il corpo dei primati ha messo in atto una serie di cambiamenti che, nel tempo, hanno portato ad un rimodellamento biologico ed anatomico delle articolazioni, per rispondere in modo efficiente all’ambiante che cambiava. Ad occuparsi di questo lavoro plastico sono stati i nostri geni che, sotto la spinta ambientale, hanno nel tempo modificato la loro “espressione” per plasmare il corpo in maniera conforme alle richieste esterne.

 

Il ginocchio rappresenta, in tal senso, un importante esempio di capolavoro biomeccanico operato dalla Natura, tuttavia l’osteoartrosi (OA) del ginocchio, una condizione in cui i tessuti cartilaginei si deteriorano, è uno dei molteplici costi del bipedismo. Questa patologia, oggi, colpisce circa 250 milioni di persone nel mondo e un recente studio ha indagato i fattori genetici ed epigenetici che ne sono alla base.

Secondo gli autori, siamo stati in grado di sostenere la posizione eretta grazie a particolari aree di genoma in grado di dare forma e funzione biologica al nostro ginocchio, escludendo per meccanismi di selezione negativa altre potenziali conformazioni, le quali sarebbero risultate decisamente svantaggiose. Tuttavia l’alta varietà della nostra specie, ha fatto sì che, alcune varianti geniche in grado di modificare leggermente l’anatomia del ginocchio o i meccanismi biologici che ne garantiscono la funzionalità, potessero continuare ad esistere all’interno del DNA.

 

In alcune persone queste variabili sono “silenti” e in virtù di questo il ginocchio è in grado di sviluppare una efficiente anatomia, fisiologia e biomeccanica, in altre persone invece queste variabili sono attive esponendo l’articolazione al rischio di OA. Non si tratta di vere e proprie mutazioni geniche, motivo per cui questi cambiamenti non si manifestano come anomalie visibili (per intenderci, se questi soggetti facessero una indagine radiologica, la struttura si presenterebbe macroscopicamente normale). Si tratta piuttosto di piccole variazioni di forma date da un diverso, diciamo così, modo di “comunicare” dei geni. Del resto è questo quello che fanno i nostri geni, danno istruzioni alle nostre cellule le quali si attivano in risposta a tali segnali, tuttavia sono moltissimi i fattori che possono interferire in questa comunicazione e distorcere il messaggio finale. Se le istruzioni sono distorte, il compito finale lo sarà di conseguenza.

Quello che hanno osservato gli autori nello studio è stato che, sia i topi che gli esseri umani, che presentavano una alterazione nei meccanismi di regolazione dei geni suddetti era presente OA in quanto una leggera variazione dell’anatomia è legata ad una anomala biomeccanica articolare e una eccessiva usura e degenerazione della cartilagine.

 

 

Un altro elemento molto interessante è stata la maggiore incidenza in soggetti esposti a fattori di rischio come obesità, poca attività fisica e processi infiammatori, correlandola ad un probabile alterazione della regolazione genica. Questo ci suggerisce che, nonostante secondo gli autori, ci sia una base genetica ed ereditaria per questa patologia, abbiamo comunque strumenti (epigenetici!) in grado di modulare positivamente questo rischio.

Attualmente la gestione non chirurgica del dolore da OA, prevede modalità terapeutiche sia farmacologiche che non farmacologiche. Gli approcci non farmacologici comprendono il trattamento manipolativo osteopatico, la terapia fisica, l’esercizio fisico, l’uso di dispositivi di assistenza e la riduzione del peso corporeo. I pazienti beneficiano spesso della combinazione di queste modalità terapeutiche.

 

 

 

– Richard D, Liu Z, Cao J, et al. Evolutionary Selection and Constraint on Human Knee Chondrocyte Regulation Impacts Osteoarthritis Risk. Cell. 2020;181(2):362‐381.e28.

– Barron MC, Rubin BR. Managing Osteoarthritic Knee Pain. J Am Osteopath Assoc 2007;107(suppl_6):ES21–ES27.

 

 

 

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